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Ho fatto il bagno con Padre Pio

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Eravamo io, Francesca che ci ospitava, Silvia e Natalia. I colori erano incredibili. Il verde cotto dal sole, il grigio granuloso che discendeva nel blu più acceso. Da dove veniamo noi spesso la nebbia sfuma i contorni e smorza la luce, là invece era tutto brillante come la tempera appena spremuta sul piattino di carta. Si stava bene in spiaggia, a leggere e bere cedrata, a mangiare focaccia e a correre sulla riva fino agli scogli. Si stava bene a essere in vacanza, a essere quattro amiche che per qualche giorno fermano il tempo gli impegni i ragazzi i malumori e le ferite.
Io mi ero portata da leggere Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer, e non riuscivo a staccarmici.

Un giorno decidemmo di spingerci oltre le Colonne d’Ercole del nostro ombrellone e della bella cucina fresca dove ci riunivamo a chiacchierare divorando bomboloni, contemplando il biancore abbacinante della casa di fronte – un quadro di de Chirico – e partimmo per una spedizione alla volta delle isole Tremiti. Quelli dell’agenzia ci avevano convinto a prendere il biglietto del super mega grand tour, quello che comprendeva San Domino, San Nicola, il giro delle grotte e il loro vero orgoglio locale: la statua di Padre Pio.

Questa cosa della statua di Padre Pio mi inquietava un po’, perché certe manifestazioni monumentali della religione cattolica mi lasciano sempre un senso di apocalisse imminente e distruzione e peccato. L’enorme cattedrale di Colonia, tutta nera e minacciosa, se non fosse tanto bella mi spaventerebbe a morte. Il Cristo Redentore che troneggia su Rio? Terrore puro. Più degli occhi da pazza di Crudelia De Mon quando diventano gialli e con i cerchi concentrici dentro, più di Ronald McDonald, più dell’esame di Procedura Penale. Mi immaginavo la nostra barchetta indifesa girare l’angolo e andare a sbattere contro una roccia che poi – orrore!- si rivelava essere l’alluce del santo, lo sguardo quasi all’altezza delle nubi, cattivo quanto quello del Savonarola a Ferrara, colossale quanto la montagna del Purgatorio, e noi minuscole, in un vortice ai suoi piedi, infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso.

La mattina fatidica ci alzammo all’alba, che non era l’alba vera come la volta che fummo svegliate dai colpi di cannoni che salutavano la statua della Madonna – statue religiose, sempre statue religiose – ma era comunque un’ora ragionevolmente barbara. Ci attendeva un barchino che mi avrebbe fatto passare i peggiori quaranta minuti della mia vita. L’orizzonte si alzava e si abbassava, azzurro del cielo azzurro del mare giallo delle mie palpebre e tutto daccapo. Il Caronte della situazione girava l’imbarcazione per andare a infognarci in un grottino seminascosto, io intanto invocavo la Morte e nel contempo mi auguravo che quando fosse arrivata ci sarebbe stato un modo più stabile per farmi attraversare lo Stige, tipo un ponte di Calatrava.

Le grotte però erano bellissime.

Nel punto più blu, la barca si fermò. Il nostro Caronte gettò l’ancora, o qualcosa del genere, e ci invitò a fare un tuffo, là dove l’acqua era fresca, pulita e invitante. Il fondo del mare mi terrorizza, non so cosa vi si nasconde – la mia top three: vortici risucchianti, mostri preistorici, vulcani sottomarini – eppure quella volta decisi di lanciarmi, insieme alle mie amiche. Non potevo restare seduta a farmi prendere in giro dai barcaioli, anche se non toccavo, anche se persino lì, dove era tutto trasparente e luminoso, io avevo paura. Scesi la scaletta, rabbrividendo.

– E sotto la barca, se aguzzate la vista, potrete vedere la statua di Padre Pio! – , disse Caron dimonio, con occhi di bragia.

Panico.

Quel giorno ero riuscita a trovare il raro punto di congiunzione tra le mie due fobie più assurde. Una statua religiosa che si trovava nella profondità degli abissi. Era troppo. Nella mia immaginazione Padre Pio stava sulle superficie come un Colosso di Rodi, a coprire la luce del sole e ogni gioia terrena, ma questo era infinitamente peggio: da dove mi trovavo non riuscivo a vederlo, ma LUI C’ERA. Era sotto di me, se fosse stato grande come temevo magari avrei urtato le sue braccia aperte con un piede – un orrore che non riuscivo nemmeno a esprimere.

Il cattivo Disney che mi faceva più paura era Ursula.

Mi improvvisai staffetta e nuotai a razzo verso la scaletta. Per me il tuffo nel blu finiva lì, e grazie tante.

Lì, da qualche parte, c’era Padre Pio, marcescente come un relitto, come facevano gli altri a sguazzare così allegri e rilassati? Ci giudicava tutti, mentre guardava le nostre gambe bianche luccicare in alto. Incastonato nel suo fondale, da tempo immemore, aspettava l’Apocalisse per ergersi sulle acque e vendicarsi di tutti quelli che incauti gli avevano fatto la pipì addosso. Come ci era finito, laggiù? Forse vi era stato imprigionato. Forse si portava con sé una storia di morte e distruzione, una sfortuna nera, pronta a perseguitare chiunque si fosse avventurato in quel golfo maledetto. Ancora oggi, a più di un anno di distanza, la fissità del suo sguardo invisibile, che noi potevamo solo intuire, mi dà i brividi.

Finimmo il giro delle isole, insultammo i turisti che si accalcavano su un fazzoletto di sabbia a San Domino. Mangiammo una pizzetta disgustosa lì vicino, ci divertimmo come matte tornando a casa, mentre il traghetto sfidava le onde e noi sedute a tribordo ci bagnavamo da capo a piedi. Ridemmo tantissimo. Quattro amiche che per qualche giorno fermano il tempo, gli impegni, i malumori, i ragazzi, le ferite. Di Padre Pio parliamo ancora, come di un’esperienza a cui siamo sopravvissute insieme, come di una delle tante, piccole avventure che costellano un’amicizia.

Jonathan Safran Foer non c’entra assolutamente niente con questa storia, ma mi piace ricordarlo.

Ho cercato su Google la foto della statua e credo che non dormirò mai più.

 

 

 

 

Anna Maniscalco è nata nel 1992, ma da sempre si mimetizza tra i ’91. Ha collaborato con Sushiettibili e poi ha sparpagliato un po’ di cose in giro per l’Internet. Ora studia Giurisprudenza a Modena, ha un blog  e di notte le piace pontificare da sola su Twitter.


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